Molti spostano al futuro la trasformazione in senso sostenibile della società. Come avviene in tutti i cambiamenti epocali, c’è un passaggio di potere e di ricchezze tra vecchia economia e nuova economia è ovvio che questo spaventi chi non si sta attrezzando e che quindi si preferisca spostare l’obiettivo in un futuro imprecisato.
Il 4 ottobre è stato il cinquantesimo anniversario del primo satellite spaziale, lo Sputnik, che aprì il periodo delle fantasie spaziali, dopo soli 12 anni il primo uomo toccò il suolo lunare. E’ inimmaginabile ciò che l’uomo può fare in un tempo così breve. Sui tempi lunghi gli uomini non hanno nessuna possibilità di controllo su ciò che sarà; “Se sai come una cosa sarà tra cinquant’anni, vuoi dire che sei in grado di realizzarla adesso. Ma in realtà non lo sai, perché quella cosa sarà ciò che vorrà essere.” scriveva Louis Kahn. Il compito della trasformazione in senso sostenibile della società spetta a noi, se in 12 anni si è riusciti ad andare sulla luna è mai possibile che non si riesca nello stesso periodo a riorganizzare il territorio limitando l’uso dell’automobile, a ridurre drasticamente la produzione di rifiuti e a costruire case con ridottissimi consumi di energia?
mercoledì 10 ottobre 2007
martedì 9 ottobre 2007
Laboratorio Sperimentale di Sostenibilità Edilizia - La.S.S.E.
Sono ormai trent’anni che si è fatta strada l’idea, diventata oggi certezza, che a questi livelli di prelievo, la Terra non potrà garantire risorse in modo equo per tutti gli abitanti del pianeta. Le risorse sulla Terra hanno dei limiti, di quantità e di possibilità d’uso; hanno dei limiti il petrolio, il carbone e l’uranio, ma hanno dei limiti anche tutte le materie prime utilizzate nei sistemi di produzione. La sfida della nostra epoca è quella di accettare questi limiti, riducendo drasticamente l’impiego di materia e di fonti di energia non rinnovabile, senza per questo ridurre o peggiorare il livello di vita. L’ingresso nell’era post-petrolifera richiede un cambio totale di visione e uno sforzo immaginativo che vada al di là di modelli e tecniche consolidate. Non si tratterà di sostituire semplicemente un materiale con un altro, ma si è chiamati, fin d’ora, a cambiare completamente l’approccio al progetto, avviando la ricerca di un modo di costruire secondo criteri di sostenibilità ambientale. Efficienza energetica, meno materia, individuazione di filiere sostenibili per eliminare il più possibile gli scarti e i rifiuti, sono questi gli assi per la ricerca verso una sempre maggiore integrazione sostenibile.
L’edilizia impiega molta materia in fase di produzione e molta energia in fase di gestione per climatizzare e illuminare gli ambienti; ben il 40% della produzione di gas serra è imputabile all’edilizia. Si delinea quindi la necessità di studiare nuovi tipi di insediamento meno “energivori” di quelli attuali.
Nasce da queste considerazioni l’idea di un Laboratorio Sperimentale di Sostenibilità Edilizia (LaSSE), promosso e finanziato da Coop Consumatori Nordest, all’interno del programma “Energeticamente”, con l’intento di verificare strategie sostenibili nella costruzione e gestione degli edifici commerciali e contemporaneamente formare e sensibilizzare i professionisti di domani. Il progetto, coordinato dall’architetto e ecodesigner Andrea Trincardi verrà sviluppato dagli studenti dell’Istituto Tecnico Industriale Malignani di Udine sotto la guida degli insegnati della specializzazione edilizia e della specializzazione elettrotecnica e automazione. La sperimentazione, condotta sugli edifici messi a disposizione da Coop Consumatori Nordest, intende individuare i punti di maggiore utilizzo di energia, valutarne il grado di inefficienza e indicare una serie di strategie possibili da attuare in futuro per migliorare il grado di sostenibilità. L’attività di LaSSE risponde perfettamente alle finalità dello statuto di Coop Consumatori Nordest essendo anche un momento di promozione dei principi di solidarietà e mutualità tra i cittadini. Il cambiamento attuale richiederà una trasformazione degli stili di vita di ciascuno e dunque una diffusa attività di educazione e sensibilizzazione all’uso razionale delle risorse, all’efficienza energetica e ai temi della sostenibilità edilizia costituisce un contributo importante all’interno di una già avviata attività sociale di educazione e sensibilizzazione ai consumi.
I risultati raggiunti a conclusione del lavoro di LaSSE, che accompagnerà gli studenti lungo l’intero anno scolastico, consentiranno una prima valutazione sull’efficienza degli edifici analizzati e costituiranno una base per le progettazioni future e i piani di manutenzione e rinnovamento.
L’edilizia impiega molta materia in fase di produzione e molta energia in fase di gestione per climatizzare e illuminare gli ambienti; ben il 40% della produzione di gas serra è imputabile all’edilizia. Si delinea quindi la necessità di studiare nuovi tipi di insediamento meno “energivori” di quelli attuali.
Nasce da queste considerazioni l’idea di un Laboratorio Sperimentale di Sostenibilità Edilizia (LaSSE), promosso e finanziato da Coop Consumatori Nordest, all’interno del programma “Energeticamente”, con l’intento di verificare strategie sostenibili nella costruzione e gestione degli edifici commerciali e contemporaneamente formare e sensibilizzare i professionisti di domani. Il progetto, coordinato dall’architetto e ecodesigner Andrea Trincardi verrà sviluppato dagli studenti dell’Istituto Tecnico Industriale Malignani di Udine sotto la guida degli insegnati della specializzazione edilizia e della specializzazione elettrotecnica e automazione. La sperimentazione, condotta sugli edifici messi a disposizione da Coop Consumatori Nordest, intende individuare i punti di maggiore utilizzo di energia, valutarne il grado di inefficienza e indicare una serie di strategie possibili da attuare in futuro per migliorare il grado di sostenibilità. L’attività di LaSSE risponde perfettamente alle finalità dello statuto di Coop Consumatori Nordest essendo anche un momento di promozione dei principi di solidarietà e mutualità tra i cittadini. Il cambiamento attuale richiederà una trasformazione degli stili di vita di ciascuno e dunque una diffusa attività di educazione e sensibilizzazione all’uso razionale delle risorse, all’efficienza energetica e ai temi della sostenibilità edilizia costituisce un contributo importante all’interno di una già avviata attività sociale di educazione e sensibilizzazione ai consumi.
I risultati raggiunti a conclusione del lavoro di LaSSE, che accompagnerà gli studenti lungo l’intero anno scolastico, consentiranno una prima valutazione sull’efficienza degli edifici analizzati e costituiranno una base per le progettazioni future e i piani di manutenzione e rinnovamento.
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martedì 17 luglio 2007
Prodotti naturali
Come già avvenuto nell'alimentare anche nei prodotti per l'edilizia si sta diffondendo la dicitura prodotto naturale. Con naturale si identificano quei prodotti che hanno subito scarse trasformazioni. Questa definizione ha più che altro un intento evocativo, naturale rimanda a salutare, che fa bene, puro come acqua di montagna. Costruire in modo naturale allora è costruire con materiali che non siano nocivi per la salute. E’ uno dei tanti paradossi del mondo industriale-consumista: ci si può nutrire con roba generica che può contenere sostanza dannose o con roba naturale che fa bene. Ammettere la dicitura naturale per un prodotto è confermare contemporaneamente che è lecito produrre materiali non naturali, cioè potenzialmente tossici o dannosi.
Uno yogurt, un intonaco, del prosciutto o dei trattamenti per pavimento in legno possono essere naturali o che cosa? Artificiali? Industriali? Sintetici?
Artificiale è prodotto grazie a un arte del fare o del fare a regola d'arte. La costruzione di una casa è un artificio così come la produzione di un formaggio o del vino. Forse si è persa l’etica del fare a regola d’arte, per cui si immagina un mondo naturale originario in contrapposizione ad un mondo artificiale corrotto, come se in un passato mitico si conoscessero tutti i segreti del buon pane o della buona casa naturale. Non è così.
Con l’industrialismo, cioè l’allargamento a tutti gli aspetti del vivere delle regole della produzione industriale, si è affermato il primato del risparmio sulle regole dell’arte: risparmiare tempo; denaro; fatica. Per raggiungere questo risparmio ogni soluzione è valida, salute, benessere, gusto passano in secondo piano, al massimo evocati come elemento pubblicitario. Si risparmiano tempo denaro e fatica ma non si risparmiano materia, rifiuti, energia. Anzi lo spreco di questi ultimi è indispensabile per risparmiare i primi. Questa logica non ha però tenuto conto della limitatezza delle risorse della Terra. La Terra ha dei limiti ben precisi, la via d’uscita a questa situazione non è la sostituzione di materiali di consumo generici con materiali naturali ma il salto di paradigma, il blocco del consumo di materia e lo spostamento delle attività umane dai consumi all’uso e riuso. Solo abbandonando la logica industrialista si potrà essere liberi di pensare un nuovo modo di costruire o mangiare, che vada oltre la schiavitù dei consumi.
Una società che riduce i consumi non è una civiltà più povera anzi. Una casa calda in inverno e fresca d’estate è realizzabile riducendo anche di dieci volte il consumo di energia e il prelievo di materia. Non accontentiamoci allora del cibo naturale ma cerchiamolo piuttosto leggero, non come calorie, ma come impegno di materia e energia.
Uno yogurt, un intonaco, del prosciutto o dei trattamenti per pavimento in legno possono essere naturali o che cosa? Artificiali? Industriali? Sintetici?
Artificiale è prodotto grazie a un arte del fare o del fare a regola d'arte. La costruzione di una casa è un artificio così come la produzione di un formaggio o del vino. Forse si è persa l’etica del fare a regola d’arte, per cui si immagina un mondo naturale originario in contrapposizione ad un mondo artificiale corrotto, come se in un passato mitico si conoscessero tutti i segreti del buon pane o della buona casa naturale. Non è così.
Con l’industrialismo, cioè l’allargamento a tutti gli aspetti del vivere delle regole della produzione industriale, si è affermato il primato del risparmio sulle regole dell’arte: risparmiare tempo; denaro; fatica. Per raggiungere questo risparmio ogni soluzione è valida, salute, benessere, gusto passano in secondo piano, al massimo evocati come elemento pubblicitario. Si risparmiano tempo denaro e fatica ma non si risparmiano materia, rifiuti, energia. Anzi lo spreco di questi ultimi è indispensabile per risparmiare i primi. Questa logica non ha però tenuto conto della limitatezza delle risorse della Terra. La Terra ha dei limiti ben precisi, la via d’uscita a questa situazione non è la sostituzione di materiali di consumo generici con materiali naturali ma il salto di paradigma, il blocco del consumo di materia e lo spostamento delle attività umane dai consumi all’uso e riuso. Solo abbandonando la logica industrialista si potrà essere liberi di pensare un nuovo modo di costruire o mangiare, che vada oltre la schiavitù dei consumi.
Una società che riduce i consumi non è una civiltà più povera anzi. Una casa calda in inverno e fresca d’estate è realizzabile riducendo anche di dieci volte il consumo di energia e il prelievo di materia. Non accontentiamoci allora del cibo naturale ma cerchiamolo piuttosto leggero, non come calorie, ma come impegno di materia e energia.
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Un lucernario bioclimatico
Sto completando la realizzazione di un lucernario che avrà la funzione, oltre a quella di illuminare, di creare una circolazione d'aria negli ambienti. La caratteristica è che l'aria in entrata passa attraverso dei tubi interrati perdendo calore a contatto con superfici più fresche.
Anche la forma del lucernario è pensata in modo da ridurre il surriscaldamento e l'effetto serra. Si tratta in questo caso dell'effetto serra locale, nella stanza, anche se un lucernario bioclimatico contribuisce alla riduzione dei consumi di climatizzazione e dunque riduce anche l'effetto serra globale.
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mercoledì 11 luglio 2007
Le case hanno scarsa efficienza energetica
Per molto tempo i costruttori di case hanno pensato che un buon isolamento termico fosse una cosa inutile. Le case costruite fin'ora e molte di quelle ancora in costruzione hanno una scarsissima efficienza energetica. L'efficienza energetica non è altro che la percentuale di energia che effettivamente riusciamo a godere sottoforma di caldo o di fresco.
Per le automobili l'efficienza è indicata in litri per 100 km., cioè quanti litri brucio per compiere un tragitto di 100 km.
Per le case si indica l'energia, espressa in kW, per metro quadro per anno. Solitamente in questo valore rientra solamente l'energia spesa per riscaldare la casa in inverno. In verità si consuma energia anche per illuminare e soprattutto per raffreddare la casa in estate. Le spese di raffrescamento fanno aumentare i consumi di circa il 25%. Complessivamente una casa generica consuma tra 250 kW/mq anno e 300 kW/mq anno.
Una casa efficiente consuma 30 kW/mq anno (dico 30!) e non ha bisogno di impianto di condizionamento. Questi consumi sono raggiungibili solo se l'intera progettazione dell'edificio tiene conto degli aspetti energetici: orientamento, forma, dimensione e coolocazione delle finestre, materiali, tetto, verde; sono tutti elementi della progettazione architettonica che contribuiscono alla costruzione di case efficienti. La prima causa di architetture inefficienti è degli architetti che hanno dimenticato le regole base della progettazione cioè conoscenza dei luoghi, conoscenza del clima, conoscenza delle abitudini degli abitanti. A ruota, nelle responsabilità, seguono gli impresari, i costruttori, sempre pronti a tagliare voci di spesa.
E' evidente una resistenza da parte di chi orienta il mercato edilizio a non porre la questione energetica tra i parametri di scelta di una nuova casa. La spiegazione è semplice, c'è un "magazzino" di case nuove assolutamente inefficienti che va "svuotato" prima di aprire la strada a case efficienti.
Per le automobili l'efficienza è indicata in litri per 100 km., cioè quanti litri brucio per compiere un tragitto di 100 km.
Per le case si indica l'energia, espressa in kW, per metro quadro per anno. Solitamente in questo valore rientra solamente l'energia spesa per riscaldare la casa in inverno. In verità si consuma energia anche per illuminare e soprattutto per raffreddare la casa in estate. Le spese di raffrescamento fanno aumentare i consumi di circa il 25%. Complessivamente una casa generica consuma tra 250 kW/mq anno e 300 kW/mq anno.
Una casa efficiente consuma 30 kW/mq anno (dico 30!) e non ha bisogno di impianto di condizionamento. Questi consumi sono raggiungibili solo se l'intera progettazione dell'edificio tiene conto degli aspetti energetici: orientamento, forma, dimensione e coolocazione delle finestre, materiali, tetto, verde; sono tutti elementi della progettazione architettonica che contribuiscono alla costruzione di case efficienti. La prima causa di architetture inefficienti è degli architetti che hanno dimenticato le regole base della progettazione cioè conoscenza dei luoghi, conoscenza del clima, conoscenza delle abitudini degli abitanti. A ruota, nelle responsabilità, seguono gli impresari, i costruttori, sempre pronti a tagliare voci di spesa.
E' evidente una resistenza da parte di chi orienta il mercato edilizio a non porre la questione energetica tra i parametri di scelta di una nuova casa. La spiegazione è semplice, c'è un "magazzino" di case nuove assolutamente inefficienti che va "svuotato" prima di aprire la strada a case efficienti.
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lunedì 2 luglio 2007
La città e l'automobile
Le auto producono inquinamento ogni qualvolta le usiamo. Guidare un’auto è l’azione più inquinante compiuta da un cittadino medio. Due sono i punti principali di inefficienza, il primo è dato dal fatto che un’utilitaria che trasporta una persona muove 7-8 quintali d’acciaio per spostare 60-100 kg. di guidatore; il secondo è dato dal fatto che non più del 35% dell’energia prodotta dal motore si trasforma in movimento, il resto è dissipata, cioè perduta, sottoforma di calore.
Il problema è che le nostre città sono state costruite in funzione dell’automobile, zone residenziali, zone industriali e direzionali, zone per il divertimento, sono raggiungibili solo ed esclusivamente in auto. Il paradosso è che negli anni ’70, ai tempi della prima crisi energetica, le città italiane erano ancora densamente abitate e servite, solo la grande industria era localizzata alla periferia della città. Nonostante l’Italia partisse da condizioni ideali per l’affermazione del trasporto pubblico si optò, con scelte organiche e non casuali, per l’espansione delle città e la creazione di zone specializzate e distanti, collegate da reti stradali gerarchizzate per dimensione e quantità di traffico ipotizzato. Lo sviluppo urbanistico nel nostro paese non è stato casuale e, almeno nel nord, non è stato nemmeno condizionato dall’abusivismo. E’ stato scelto, da politici, accademici e urbanisti, un modello già vecchio all’epoca, e la realizzazione di questo modello è stata perseguita con pervicacia e determinazione.
Oggi non si è ancora affermata una cultura urbanistica in grado di ribaltare questo modello. Oggi la città è schiava dell’automobile individuale. Solo un progetto di lungo termine, in grado di ridisegnare le città e i modi di attraversarle, se perseguito con ancora maggior pervicacia e ostinazione del modello precedente, potrà vedere la progressiva uscita di scena dell’auto individuale. Ci vorrà tempo ma è una scelta obbligata.
Il problema è che le nostre città sono state costruite in funzione dell’automobile, zone residenziali, zone industriali e direzionali, zone per il divertimento, sono raggiungibili solo ed esclusivamente in auto. Il paradosso è che negli anni ’70, ai tempi della prima crisi energetica, le città italiane erano ancora densamente abitate e servite, solo la grande industria era localizzata alla periferia della città. Nonostante l’Italia partisse da condizioni ideali per l’affermazione del trasporto pubblico si optò, con scelte organiche e non casuali, per l’espansione delle città e la creazione di zone specializzate e distanti, collegate da reti stradali gerarchizzate per dimensione e quantità di traffico ipotizzato. Lo sviluppo urbanistico nel nostro paese non è stato casuale e, almeno nel nord, non è stato nemmeno condizionato dall’abusivismo. E’ stato scelto, da politici, accademici e urbanisti, un modello già vecchio all’epoca, e la realizzazione di questo modello è stata perseguita con pervicacia e determinazione.
Oggi non si è ancora affermata una cultura urbanistica in grado di ribaltare questo modello. Oggi la città è schiava dell’automobile individuale. Solo un progetto di lungo termine, in grado di ridisegnare le città e i modi di attraversarle, se perseguito con ancora maggior pervicacia e ostinazione del modello precedente, potrà vedere la progressiva uscita di scena dell’auto individuale. Ci vorrà tempo ma è una scelta obbligata.
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mercoledì 27 giugno 2007
Capezzone fa rima con capannone e ...
Al Senato con il numero 1532 è in attesa di approvazione un disegno di legge ad opera dell'on. Capezzone.
Il disegno di legge si propone di snellire le pratiche per fare impresa nel nostro paese. Non esiste impresa che non abbia un capannone, ragiona il Capezzone, e dunque, per costruire gli edifici necessari a una qualsiasi attività produttiva, sia che tratti beni che servizi, basterà presentare la domanda allo “sportello unico” comunale.
La ricevuta della domanda vale come concessione e permesso di costruire.
Non conta più la destinazione d'uso dell'area ho da fare il capannone e lo faccio, punto! In caso di contenzioso in comissione servizi sarà il governo a decidere entro trenta giorni con il sistema del silenzio assenso.
Ecco fatto, ci voleva tanto?
La dove non osano le aquile osano i tacchini!
Il disegno di legge si propone di snellire le pratiche per fare impresa nel nostro paese. Non esiste impresa che non abbia un capannone, ragiona il Capezzone, e dunque, per costruire gli edifici necessari a una qualsiasi attività produttiva, sia che tratti beni che servizi, basterà presentare la domanda allo “sportello unico” comunale.
La ricevuta della domanda vale come concessione e permesso di costruire.
Non conta più la destinazione d'uso dell'area ho da fare il capannone e lo faccio, punto! In caso di contenzioso in comissione servizi sarà il governo a decidere entro trenta giorni con il sistema del silenzio assenso.
Ecco fatto, ci voleva tanto?
La dove non osano le aquile osano i tacchini!
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giovedì 21 giugno 2007
Impennata dei consumi energetici
Con il caldo i consumi di energia elettrica crescono vertiginosamente a causa dell'uso massiccio dei condizionatori.
Le case soffrono più il caldo del freddo, infatti le scelte costruttive recenti hanno sottovalutato il problema del surriscaldamento estivo. Soffitti bassi, muri sottili, isolamenti leggeri (tipo polistirolo) finestre esposte al sole battente sono tutte cause del caldo in casa. Esempi eclatanti di surriscaldamento estivo sono i capannoni per uso uffici e negozi. Questi edifici sono solitamente costruiti con pannelli sottili in cemento armato, prefabbricati, alleggeriti con pannelli di polistirolo, queste strutture vengono attraversate velocemente dall'onda di calore.
Inoltre molti capannoni vicini, circondati da grandi piazzali asfaltati creano un'isola di calore in cui i condizionatori sono costretti ad un super lavoro. Molti condizionatori in un'area ristretta già calda contribuiscono ad aumentare ancora il caldo ambientale chiudendo un circolo vizioso di super consumi.
Le alternative ci sarebbero, nei prossimi giorni avrò modo di parlarne.
Le case soffrono più il caldo del freddo, infatti le scelte costruttive recenti hanno sottovalutato il problema del surriscaldamento estivo. Soffitti bassi, muri sottili, isolamenti leggeri (tipo polistirolo) finestre esposte al sole battente sono tutte cause del caldo in casa. Esempi eclatanti di surriscaldamento estivo sono i capannoni per uso uffici e negozi. Questi edifici sono solitamente costruiti con pannelli sottili in cemento armato, prefabbricati, alleggeriti con pannelli di polistirolo, queste strutture vengono attraversate velocemente dall'onda di calore.
Inoltre molti capannoni vicini, circondati da grandi piazzali asfaltati creano un'isola di calore in cui i condizionatori sono costretti ad un super lavoro. Molti condizionatori in un'area ristretta già calda contribuiscono ad aumentare ancora il caldo ambientale chiudendo un circolo vizioso di super consumi.
Le alternative ci sarebbero, nei prossimi giorni avrò modo di parlarne.
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Comprare casa
La casa è uno dei settori in cui si consuma più energia, quindi ogni cittadino ha la possibilità diretta di intervenire per ridurre i consumi energetici e la conseguente produzione di CO2. Tuttavia per ridurre i consumi in casa si devono fare degli investimenti anche importanti. Le regole di buon uso degli elettrodomestici, la sostituzione delle lampadine e altri comportamenti aiutano a ridurre i consumi ma per frazioni minime.
Quello che fa consumare molto è la struttura della casa che dovrebbe trattenere più calore possibile in inverno e lasciare entrare, in estate meno caldo possibile. Fino ad oggi le case sono state costruite con livelli bassissimi di isolamento termico. E' una verità dolorosa ma chi sta ancora pagando il mutuo per una casa nuova per ridurre significativamente i propri consumi dovrebbe spendere alcune decine di migliaia di euro.
Le case oggi in vendita sono vecchie, per farle rientrare nei nuovi parametri energetici occorre spendere molti soldi, questo significa che chi compra casa oggi dal 2009, anno in cui sarà obbligatorio il certificato energetico della casa, vedrà il valore del proprio investimento diminuire sensibilmente. Questa situazione non è ancora stata registrata dal mercato, anzi chi ha case ad alto consumo di energia da vendere cerca di farlo il più rapidamente possibile, dando minori informazioni possibili sulle performances energetiche della casa.
Per aiutare chi deve scegliere una casa ho pubblicato un libro:
Guida all'acquisto della casa sostenibile, Il Sole 24 Ore, Milano, 2006
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martedì 12 giugno 2007
Torviscosa - Friuli - Europa
Torviscosa è una città di fondazione, come Latina, ma più piccola e in Friuli. Fu costruita su bonifica per produrre l'autarchica Viscosa. E' un piccolo polo della chimica, una Marghera con tutta la vicenda di impatto e inquinamento che caratterizza la storia della chimica italiana. Oggi la chimica è in declino e sulle aree industriali dismesse si sta pensando e realizzando impianti alternativi: una centrale termoelettrica della Edison da 500 MW, un cementificio da 1.200.000 tonnellate anno della Grigolin e, poco distante un inceneritore della Siderurgica srl per bruciare fluff, scarti dell'interno delle auto, e produrre energia elettrica.
Voglio pensare che ciascun intervento sarà realizzato al meglio, secondo le norme più severe per garantire l'incolumità delle persone e dell'ambiente.
Il punto è un'altro, oggi, quando l'UE decide di tagliare ulteriormente le emissioni di gas serra (- 20% deciso a marzo 2007) in questa parte d'Europa si pensa di incrementare considerevolmente le emissioni di questi gas, continuando nella vecchia e logora logica della rivoluzione industriale di produrre energia bruciando quello che di più economico e più calorifico si ha sottomano. Il punto è che per ridurre le emissionidi gas serra si deve ridurre la quantità di materia bruciata. Bisogna dunque pensare a come produrre energia in modo nuovo.
La grande centrale che produce un grande quantitativo di energia in un punto localizzato si scontra con un problema di approvigionamento di combustibile, un problema di trasporto di energia (grandi elettrodotti), un problema di efficienza, l'energia elettrica si vende facilmente ma il calore (circa il 60% del prodotto) non si sa a chi darlo e lo sideve disperdere attraverso le torri di raffreddamento.
La novità, che non è così nuova ma che oggi sembra tale, è la microcogenerazione cioè la produzione locale di energia elettrica, calore e freddo per l'uso in loco, a livello di quartiere e zona industriale. Oggi si deve passare dalla megacentrale da cui si dipartono a raggiere gli elettrodotti alla rete, il grappolo, di microcentrali in rete, un internet dell'energia in cui la parte intelligente sta dove sta il consumatore finale.
Torviscosa dunque è un caso di politica energetica che pensa al passato, è frutto di arroganza e ignoranza, è la conseguenza logica di una politica che intende privatizzare i profitti e spostare sulle comunità locali il peso ambientale, il rischio, il degrado. Il governatore del Friuli Illy in materia energetica e industriale è innovatore quanto un cavernicolo con la clava che ha appena scoperto il fuoco e le delizie del brodo di rana.
Voglio pensare che ciascun intervento sarà realizzato al meglio, secondo le norme più severe per garantire l'incolumità delle persone e dell'ambiente.
Il punto è un'altro, oggi, quando l'UE decide di tagliare ulteriormente le emissioni di gas serra (- 20% deciso a marzo 2007) in questa parte d'Europa si pensa di incrementare considerevolmente le emissioni di questi gas, continuando nella vecchia e logora logica della rivoluzione industriale di produrre energia bruciando quello che di più economico e più calorifico si ha sottomano. Il punto è che per ridurre le emissionidi gas serra si deve ridurre la quantità di materia bruciata. Bisogna dunque pensare a come produrre energia in modo nuovo.
La grande centrale che produce un grande quantitativo di energia in un punto localizzato si scontra con un problema di approvigionamento di combustibile, un problema di trasporto di energia (grandi elettrodotti), un problema di efficienza, l'energia elettrica si vende facilmente ma il calore (circa il 60% del prodotto) non si sa a chi darlo e lo sideve disperdere attraverso le torri di raffreddamento.
La novità, che non è così nuova ma che oggi sembra tale, è la microcogenerazione cioè la produzione locale di energia elettrica, calore e freddo per l'uso in loco, a livello di quartiere e zona industriale. Oggi si deve passare dalla megacentrale da cui si dipartono a raggiere gli elettrodotti alla rete, il grappolo, di microcentrali in rete, un internet dell'energia in cui la parte intelligente sta dove sta il consumatore finale.
Torviscosa dunque è un caso di politica energetica che pensa al passato, è frutto di arroganza e ignoranza, è la conseguenza logica di una politica che intende privatizzare i profitti e spostare sulle comunità locali il peso ambientale, il rischio, il degrado. Il governatore del Friuli Illy in materia energetica e industriale è innovatore quanto un cavernicolo con la clava che ha appena scoperto il fuoco e le delizie del brodo di rana.
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venerdì 8 giugno 2007
Energia: intensità vs efficienza
Nonostante l’energia da fonte fossile diventi sempre più cara e i governi dichiarino di impegnarsi a ridurre le emissioni di CO2 equivalente, l’uso intensivo di questo tipo di energia ha continuato a crescere invece che diminuire.
Ancora oggi i grandi produttori di energia continuano a proporre e costruire centrali elettriche non molto diverse da quelle di 60 anni fa. Possiamo constatare una forte resistenza ad abbandonare il modello industrialista ad alta intensità energetica. Tutto il piano di grandi opere, dalla TAV ai rigassificatori, dalle discariche ai cementifici, risulta, concettualmente, vecchio di 60 anni.
Il sistema basato sull’intensità energetica per sopravvivere deve escludere qualsiasi forma che vada nel senso dell’efficienza.
E’ un sistema a senso unico, le comunità locali sono obbligate ad accettare la presenza inquinante e ingombrante delle centrali, le reti ad alta tensione trasportano l’energia a lunga distanza con fortissime perdite lungo il tragitto. Il sistema energetico intensivo toglie spazio vitale e non è più tollerato. L’energia così prodotta è sempre più cara e i cittadini la devono comprare a prezzo imposto.
Il petrolio e gli altri combustibili fossili hanno determinato i modi di costruire, i materiali da usare, le forme e i modi di organizzazione urbana.
La società industriale è stata fondata su un alto investimento energetico in tutti i campi, si produce, ci si sposta, si abita, consumando grandi quantitativi di energia. La periferia residenziale nasce in questa logica di consumo: consumo di energia, di risorse, di territorio.
Uscire dalle energie fossili significa allora ripensare radicalmente tutti questi aspetti, spostarsi dall’intensità all’efficienza e dalla concentrazione alla diffusione: ridurre il consumo di energia e produrre energia dove si consuma.
Ancora oggi i grandi produttori di energia continuano a proporre e costruire centrali elettriche non molto diverse da quelle di 60 anni fa. Possiamo constatare una forte resistenza ad abbandonare il modello industrialista ad alta intensità energetica. Tutto il piano di grandi opere, dalla TAV ai rigassificatori, dalle discariche ai cementifici, risulta, concettualmente, vecchio di 60 anni.
Il sistema basato sull’intensità energetica per sopravvivere deve escludere qualsiasi forma che vada nel senso dell’efficienza.
E’ un sistema a senso unico, le comunità locali sono obbligate ad accettare la presenza inquinante e ingombrante delle centrali, le reti ad alta tensione trasportano l’energia a lunga distanza con fortissime perdite lungo il tragitto. Il sistema energetico intensivo toglie spazio vitale e non è più tollerato. L’energia così prodotta è sempre più cara e i cittadini la devono comprare a prezzo imposto.
Il petrolio e gli altri combustibili fossili hanno determinato i modi di costruire, i materiali da usare, le forme e i modi di organizzazione urbana.
La società industriale è stata fondata su un alto investimento energetico in tutti i campi, si produce, ci si sposta, si abita, consumando grandi quantitativi di energia. La periferia residenziale nasce in questa logica di consumo: consumo di energia, di risorse, di territorio.
Uscire dalle energie fossili significa allora ripensare radicalmente tutti questi aspetti, spostarsi dall’intensità all’efficienza e dalla concentrazione alla diffusione: ridurre il consumo di energia e produrre energia dove si consuma.
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mercoledì 6 giugno 2007
Architettura leggera
La ricerca di un modo di costruire secondo criteri di sostenibilità ambientale richiede di abbandonare i logori strumenti progettuali, che adesso ci appaiono bugiardi e densi di negatività e che hanno contribuito a costruire le realtà attuali. L’era post-petrolifera richiede un cambio totale di visione, e uno sforzo immaginativo che vada al di là di modelli e tecniche consolidate. Non si tratta cioè di sostituire semplicemente un materiale con un altro, ma si è chiamati a cambiare completamente l’approccio al progetto. Chiamo architettura leggera un modo di progettare e costruire che accetta questa sfida, sviluppando la ricerca di tecniche e forme costruttive a partire dall’impiego di energia diffusa, piuttosto che concentrata, di materiali leggeri e assemblati piuttosto che massicci e monolitici, di carichi poco elevati piuttosto che pesanti, di funzioni integrate piuttosto che specializzate.
La scelta di un materiale da costruzione in base alle caratteristiche di “leggerezza”, cioè di sostenibilità ambientale, richiede una valutazione sulla base dei seguenti parametri:
- I materiali devono essere prodotti e venduti localmente, in modo che sia più facile verificare la sostenibilità del ciclo produttivo, il basso impatto ambientale, e l’energia di trasporto pesi poco sul prodotto finito
- Devono essere a basso investimento energetico (Low embodied energy), cioè prodotti con il minor impiego di energia possibile in ogni fase di lavorazione.
- La durata dei materiali e dei manufatti deve essere attentamente progettata eliminando la possibilità che i materiali diventino rifiuti. E’ sostenibile un edificio pensato per durare 30 anni e i cui materiali trovano una collocazione in una qualche filiera, senza lasciare una scia di rifiuti da smaltire. Non è sostenibile un edificio pensato per durare indefinitamente e che richiede continue manutenzioni e sostituzioni con conseguente produzione di rifiuti da smaltire.
- Riciclabilità: deve essere abbandonata l’idea stessa di consumo, cioè di usa e getta, e sostituita con l’idea di usa e ricicla. L’attenzione dei progettisti dovrà concentrarsi sull’investimento metabolico presente in un oggetto, cioè su quanto cosa e come, a fine uso, è possibile recuperare, riciclare o metabolizzare. Al metabolismo biologico si affiancherà allora un metabolismo tecnologico in grado di escludere la produzione di rifiuti. Sarà possibile recuperare la maggior parte di materia ed energia attraverso processi di disassemblaggio e riassemblaggio. Mentre il metabolismo biologico è inscritto nelle interrelazioni degli ecosistemi, per cui ciò che una specie produce come rifiuto diventa cibo per un’altra specie, il metabolismo tecnologico richiede un’attenta progettazione sulla base dei cicli d’uso.
- I materiali usati non devono rilasciare emissioni tossiche o nocive nel tempo. Moltissime vernici, pitture murali, colle, additivi del cemento armato, rilasciano nel tempo composti organici volatili (COV) che sono causa di allergie e intossicazioni. Si tratta di prodotti utilizzati o per velocizzare la messa in opera o quali preservanti. L’impiego di queste sostanze riduce sullo stesso piano prodotti di origine biologica e prodotti di origine tecnologica impedendo le operazioni di riciclo. Come sta già avvenendo per la formaldeide e come è avvenuto per l’amianto, è possibile trovare valide alternative a questi materiali pericolosi.
- In alcuni materiali sono presenti dei residui di lavorazione non dichiarati potenzialmente tossici o nocivi, è il caso del cemento quando è prodotto bruciando pneumatici e rifiuti solidi urbani, è il caso dell’acciaio quando proviene da partite di rottami di origine incerta, può essere il caso del legno di provenienza extra europea, spesso trattato nei magazzini di partenza con sostanze altamente tossiche e vietate dalla nostra normativa.
- E’ necessaria poi una valutazione dell’impatto ambientale in fase di produzione e messa in opera. Il cemento, ad esempio, ha un forte impatto ambientale a partire dalle cave da cui e tratto il calcare, quindi i forni di cottura che contribuiscono alla produzione di CO2 e ad altre forme di inquinamento, a seguire la macinazione con produzione di polveri. Anche il legno può provenire da filiere ad alto impatto ambientale, frutto di deforestazione incontrollata e con lunghi tragitti di percorrenza.
L’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto è il riconoscimento, a livello internazionale, dell’inizio dell’era post petrolifera e della conclusione dell’uso intensivo delle risorse. Con il petrolio in via di esaurimento si è esaurito il fondamento di un modello di società incentrato sull’economia ad alta intensità energetica. Il petrolio, e gli altri combustibili fossili ad alta concentrazione di energia, hanno determinato nel tempo i modi di costruire, i materiali da usare, finanche le forme e i modi di organizzazione urbana.
Oggi il contesto è cambiato, progettisti, costruttori, tecnici e amministratori pubblici, sono chiamati alla sfida dell’architettura leggera, un’architettura dematerializzata, che assume la questione fondamentale della nostra epoca, il passaggio dall’intensità all’efficienza: ridurre l’impiego di materia, di suolo, di acqua di energia migliorando la qualità abitativa.
La scelta di un materiale da costruzione in base alle caratteristiche di “leggerezza”, cioè di sostenibilità ambientale, richiede una valutazione sulla base dei seguenti parametri:
- I materiali devono essere prodotti e venduti localmente, in modo che sia più facile verificare la sostenibilità del ciclo produttivo, il basso impatto ambientale, e l’energia di trasporto pesi poco sul prodotto finito
- Devono essere a basso investimento energetico (Low embodied energy), cioè prodotti con il minor impiego di energia possibile in ogni fase di lavorazione.
- La durata dei materiali e dei manufatti deve essere attentamente progettata eliminando la possibilità che i materiali diventino rifiuti. E’ sostenibile un edificio pensato per durare 30 anni e i cui materiali trovano una collocazione in una qualche filiera, senza lasciare una scia di rifiuti da smaltire. Non è sostenibile un edificio pensato per durare indefinitamente e che richiede continue manutenzioni e sostituzioni con conseguente produzione di rifiuti da smaltire.
- Riciclabilità: deve essere abbandonata l’idea stessa di consumo, cioè di usa e getta, e sostituita con l’idea di usa e ricicla. L’attenzione dei progettisti dovrà concentrarsi sull’investimento metabolico presente in un oggetto, cioè su quanto cosa e come, a fine uso, è possibile recuperare, riciclare o metabolizzare. Al metabolismo biologico si affiancherà allora un metabolismo tecnologico in grado di escludere la produzione di rifiuti. Sarà possibile recuperare la maggior parte di materia ed energia attraverso processi di disassemblaggio e riassemblaggio. Mentre il metabolismo biologico è inscritto nelle interrelazioni degli ecosistemi, per cui ciò che una specie produce come rifiuto diventa cibo per un’altra specie, il metabolismo tecnologico richiede un’attenta progettazione sulla base dei cicli d’uso.
- I materiali usati non devono rilasciare emissioni tossiche o nocive nel tempo. Moltissime vernici, pitture murali, colle, additivi del cemento armato, rilasciano nel tempo composti organici volatili (COV) che sono causa di allergie e intossicazioni. Si tratta di prodotti utilizzati o per velocizzare la messa in opera o quali preservanti. L’impiego di queste sostanze riduce sullo stesso piano prodotti di origine biologica e prodotti di origine tecnologica impedendo le operazioni di riciclo. Come sta già avvenendo per la formaldeide e come è avvenuto per l’amianto, è possibile trovare valide alternative a questi materiali pericolosi.
- In alcuni materiali sono presenti dei residui di lavorazione non dichiarati potenzialmente tossici o nocivi, è il caso del cemento quando è prodotto bruciando pneumatici e rifiuti solidi urbani, è il caso dell’acciaio quando proviene da partite di rottami di origine incerta, può essere il caso del legno di provenienza extra europea, spesso trattato nei magazzini di partenza con sostanze altamente tossiche e vietate dalla nostra normativa.
- E’ necessaria poi una valutazione dell’impatto ambientale in fase di produzione e messa in opera. Il cemento, ad esempio, ha un forte impatto ambientale a partire dalle cave da cui e tratto il calcare, quindi i forni di cottura che contribuiscono alla produzione di CO2 e ad altre forme di inquinamento, a seguire la macinazione con produzione di polveri. Anche il legno può provenire da filiere ad alto impatto ambientale, frutto di deforestazione incontrollata e con lunghi tragitti di percorrenza.
L’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto è il riconoscimento, a livello internazionale, dell’inizio dell’era post petrolifera e della conclusione dell’uso intensivo delle risorse. Con il petrolio in via di esaurimento si è esaurito il fondamento di un modello di società incentrato sull’economia ad alta intensità energetica. Il petrolio, e gli altri combustibili fossili ad alta concentrazione di energia, hanno determinato nel tempo i modi di costruire, i materiali da usare, finanche le forme e i modi di organizzazione urbana.
Oggi il contesto è cambiato, progettisti, costruttori, tecnici e amministratori pubblici, sono chiamati alla sfida dell’architettura leggera, un’architettura dematerializzata, che assume la questione fondamentale della nostra epoca, il passaggio dall’intensità all’efficienza: ridurre l’impiego di materia, di suolo, di acqua di energia migliorando la qualità abitativa.
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