martedì 17 luglio 2007

Prodotti naturali

Come già avvenuto nell'alimentare anche nei prodotti per l'edilizia si sta diffondendo la dicitura prodotto naturale. Con naturale si identificano quei prodotti che hanno subito scarse trasformazioni. Questa definizione ha più che altro un intento evocativo, naturale rimanda a salutare, che fa bene, puro come acqua di montagna. Costruire in modo naturale allora è costruire con materiali che non siano nocivi per la salute. E’ uno dei tanti paradossi del mondo industriale-consumista: ci si può nutrire con roba generica che può contenere sostanza dannose o con roba naturale che fa bene. Ammettere la dicitura naturale per un prodotto è confermare contemporaneamente che è lecito produrre materiali non naturali, cioè potenzialmente tossici o dannosi.

Uno yogurt, un intonaco, del prosciutto o dei trattamenti per pavimento in legno possono essere naturali o che cosa? Artificiali? Industriali? Sintetici?
Artificiale è prodotto grazie a un arte del fare o del fare a regola d'arte. La costruzione di una casa è un artificio così come la produzione di un formaggio o del vino. Forse si è persa l’etica del fare a regola d’arte, per cui si immagina un mondo naturale originario in contrapposizione ad un mondo artificiale corrotto, come se in un passato mitico si conoscessero tutti i segreti del buon pane o della buona casa naturale. Non è così.
Con l’industrialismo, cioè l’allargamento a tutti gli aspetti del vivere delle regole della produzione industriale, si è affermato il primato del risparmio sulle regole dell’arte: risparmiare tempo; denaro; fatica. Per raggiungere questo risparmio ogni soluzione è valida, salute, benessere, gusto passano in secondo piano, al massimo evocati come elemento pubblicitario. Si risparmiano tempo denaro e fatica ma non si risparmiano materia, rifiuti, energia. Anzi lo spreco di questi ultimi è indispensabile per risparmiare i primi. Questa logica non ha però tenuto conto della limitatezza delle risorse della Terra. La Terra ha dei limiti ben precisi, la via d’uscita a questa situazione non è la sostituzione di materiali di consumo generici con materiali naturali ma il salto di paradigma, il blocco del consumo di materia e lo spostamento delle attività umane dai consumi all’uso e riuso. Solo abbandonando la logica industrialista si potrà essere liberi di pensare un nuovo modo di costruire o mangiare, che vada oltre la schiavitù dei consumi.
Una società che riduce i consumi non è una civiltà più povera anzi. Una casa calda in inverno e fresca d’estate è realizzabile riducendo anche di dieci volte il consumo di energia e il prelievo di materia. Non accontentiamoci allora del cibo naturale ma cerchiamolo piuttosto leggero, non come calorie, ma come impegno di materia e energia.

Un lucernario bioclimatico


Sto completando la realizzazione di un lucernario che avrà la funzione, oltre a quella di illuminare, di creare una circolazione d'aria negli ambienti. La caratteristica è che l'aria in entrata passa attraverso dei tubi interrati perdendo calore a contatto con superfici più fresche.
Anche la forma del lucernario è pensata in modo da ridurre il surriscaldamento e l'effetto serra. Si tratta in questo caso dell'effetto serra locale, nella stanza, anche se un lucernario bioclimatico contribuisce alla riduzione dei consumi di climatizzazione e dunque riduce anche l'effetto serra globale.

mercoledì 11 luglio 2007

Le case hanno scarsa efficienza energetica

Per molto tempo i costruttori di case hanno pensato che un buon isolamento termico fosse una cosa inutile. Le case costruite fin'ora e molte di quelle ancora in costruzione hanno una scarsissima efficienza energetica. L'efficienza energetica non è altro che la percentuale di energia che effettivamente riusciamo a godere sottoforma di caldo o di fresco.
Per le automobili l'efficienza è indicata in litri per 100 km., cioè quanti litri brucio per compiere un tragitto di 100 km.
Per le case si indica l'energia, espressa in kW, per metro quadro per anno. Solitamente in questo valore rientra solamente l'energia spesa per riscaldare la casa in inverno. In verità si consuma energia anche per illuminare e soprattutto per raffreddare la casa in estate. Le spese di raffrescamento fanno aumentare i consumi di circa il 25%. Complessivamente una casa generica consuma tra 250 kW/mq anno e 300 kW/mq anno.
Una casa efficiente consuma 30 kW/mq anno (dico 30!) e non ha bisogno di impianto di condizionamento. Questi consumi sono raggiungibili solo se l'intera progettazione dell'edificio tiene conto degli aspetti energetici: orientamento, forma, dimensione e coolocazione delle finestre, materiali, tetto, verde; sono tutti elementi della progettazione architettonica che contribuiscono alla costruzione di case efficienti. La prima causa di architetture inefficienti è degli architetti che hanno dimenticato le regole base della progettazione cioè conoscenza dei luoghi, conoscenza del clima, conoscenza delle abitudini degli abitanti. A ruota, nelle responsabilità, seguono gli impresari, i costruttori, sempre pronti a tagliare voci di spesa.
E' evidente una resistenza da parte di chi orienta il mercato edilizio a non porre la questione energetica tra i parametri di scelta di una nuova casa. La spiegazione è semplice, c'è un "magazzino" di case nuove assolutamente inefficienti che va "svuotato" prima di aprire la strada a case efficienti.

lunedì 2 luglio 2007

La città e l'automobile

Le auto producono inquinamento ogni qualvolta le usiamo. Guidare un’auto è l’azione più inquinante compiuta da un cittadino medio. Due sono i punti principali di inefficienza, il primo è dato dal fatto che un’utilitaria che trasporta una persona muove 7-8 quintali d’acciaio per spostare 60-100 kg. di guidatore; il secondo è dato dal fatto che non più del 35% dell’energia prodotta dal motore si trasforma in movimento, il resto è dissipata, cioè perduta, sottoforma di calore.
Il problema è che le nostre città sono state costruite in funzione dell’automobile, zone residenziali, zone industriali e direzionali, zone per il divertimento, sono raggiungibili solo ed esclusivamente in auto. Il paradosso è che negli anni ’70, ai tempi della prima crisi energetica, le città italiane erano ancora densamente abitate e servite, solo la grande industria era localizzata alla periferia della città. Nonostante l’Italia partisse da condizioni ideali per l’affermazione del trasporto pubblico si optò, con scelte organiche e non casuali, per l’espansione delle città e la creazione di zone specializzate e distanti, collegate da reti stradali gerarchizzate per dimensione e quantità di traffico ipotizzato. Lo sviluppo urbanistico nel nostro paese non è stato casuale e, almeno nel nord, non è stato nemmeno condizionato dall’abusivismo. E’ stato scelto, da politici, accademici e urbanisti, un modello già vecchio all’epoca, e la realizzazione di questo modello è stata perseguita con pervicacia e determinazione.
Oggi non si è ancora affermata una cultura urbanistica in grado di ribaltare questo modello. Oggi la città è schiava dell’automobile individuale. Solo un progetto di lungo termine, in grado di ridisegnare le città e i modi di attraversarle, se perseguito con ancora maggior pervicacia e ostinazione del modello precedente, potrà vedere la progressiva uscita di scena dell’auto individuale. Ci vorrà tempo ma è una scelta obbligata.